martedì 9 giugno 2020

"MISURA" NELL'ETICA STEP#21



Siamo debitori a Max Weber per la destinazione tra due modalità dell'esercizio pratico dell'etica:etica della convinzione e etica della responsabilità. Il punto di partenza della riflessione del sociologo tedesco è che nella modernità i valori non sono più un assoluto ed un qualcosa di immutabile. Questa perdita di ruolo dei valori comunitari riconosce molte cause: in primo luogo, il processo di disincanto innescato dal fatto che il mondo si è gradualmente liberato dalle forze magiche e dalla trascendenza degli dèi ed è così diventato il teatro dell’agire razionale e del calcolo dell’uomo. Proprio sul palcoscenico di questo metaforico teatro si affacciano, oggi, valori non solo diversi ma soprattutto conflittuali.Da questa premessa origina l’idea che l’etica si può esprimere con un volto pratico dicotomico: (a) l’etica dei principi (detta, anche, delle intenzioni o delle convinzioni); (b) e l’etica della responsabilità.
La prima forma di esercizio pratico dell’etica si richiama ai principi e ai valori assoluti che essa assume indipendentemente ed a prescindere dalle conseguenze a cui essi conducono. Il suo prototipo letterario è il Don Chisciotte di Cervantes e, pur senza confondere le idee, la sua espressione comunitaria più nota è quella del cristianesimo: chi crede in Dio e nella vita ultraterrena agisce sulla base di ben precisi principi e valori senza porsi il problema delle conseguenze che derivano dalla loro stretta osservanza. Per chi è cristiano, è così che l’aborto è la soppressione di un essere umano (una vera e propria forma di omicidio) ancorchè eseguito nelle primissime fasi della gestazione che bisogna contrastare indipendentemente da quelle che saranno le conseguenze sulla donna della prosecuzione della gravidanza e della maternità; ed è così, ancora, che il testimone di Geova, che rifiuta la trasfusione per ragioni religiose, deve essere trasfuso con l’obiettivo di salvargli la vita che è un valore non negoziabile. Essa è, dunque, funzionale ai principi ed ai valori confinati dentro i diversi modi del nostro sentire e non ha, né può avere, pretese di legittimità dal valore universalistico.
L’etica della responsabilità è, invece, quella in cui ogni nostra azione viene valutata attentamente sulla base del rapporto che si instaura tra i mezzi e gli scopi dell’azione e delle sue ragionevoli conseguenze. Senza assumere princìpi assoluti, l’etica della responsabilità agisce tenendo sempre presenti le conseguenza pratiche dell’agire: è proprio guardando ad esse che si agisce in vista di un bene ritenuta maggiore o di un male minore.
Sicché l’etica dei principi e quella della responsabilità sono due etiche antitetiche ed inconciliabili, che fanno capo a due diversi modi di connotare la prassi politica come osserva Weber: la prima è, in definitiva, un’etica apolitica, come è testimoniato dal cristiano che agisce seguendo i suoi principi e senza chiedersi se il suo agire può davvero migliorare il mondo. Al contrario, l’etica della responsabilità è indissolubilmente connessa alla politica, proprio perché non perde mai di vista (e anzi le assume come guida) le conseguenze pratiche dell’agire dentro la comunità. L’etica della responsabilità si esprime, quindi, nella vita sociale, considerando le possibili conseguenze delle proprie azioni vanno sulla base del principio dell’ «agire razionale rispetto allo scopo»; quella della convinzione resta, invece, affrancata ai principi ed ai valori che fanno parte del nostro sentire personale, senza preoccuparsi delle sue ricadute esteriori. L’etica della responsabilità, invece, corrisponde all’atteggiamento di colui che vuole migliorare il bene comune e di conseguenza nel suo agire è preoccupato dell’impatto che ciò che fa avrà su di esso: il senso di responsabilità spinge, in altre parole, a prendere in considerazione la totalità delle prevedibili conseguenze e a scegliere in funzione di quelle ritenute migliori o meno peggiori. Chi si direziona in questa prospettiva ritiene che il valore di un’azione deve essere cercato non nell’azione in sé, fine a sé stessa, ma nei suoi risultati. Problema cruciale di questo atteggiamento è però quello di stabilire fino a che punto un mezzo si giustifica solo in funzione dello scopo che deve raggiungere, soprattutto quando il mezzo è un’azione riprovevole.

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